Turing Alan, “Computing Machine and intelligence”, Mind, vol. LIX, no. 236, pp.
433–460, 10 1950 (trad. it. in Somenzi V.-Cordesci R., LA FILOSOFIA DEGLI AUTOMI,
Boringhieri, Milano 1994 pp.167-193)
Quando si vuol studiare un tema, consiglio sempre di leggere le fonti primarie e non basarsi su quel che si dice delle fonti primarie. E per la IA LA fonte primaria (o quasi) è l’articolo di Alan Turing “Computing Machine and Intelligence”. Rileggendolo a distanza di anni ho trovato tante “novità” e tanta “attualità”: è questo che del resto avviene con i “classici”. Il saggio è spesso citato come esposizione del test di Turing, che dovrebbe stabilire se una macchina può imitare il pensiero di uomo così bene da essere irriconoscibile come macchina.
Leggendo il testo però si rimarrà stupiti per varie ragioni:
– intanto l’articolo, che dovrebbe elaborare una prova per vedere le macchine “pensano”, si apre dicendo che qui non si vuole affatto definire cosa sia il “pensare”;
– Inoltre il test non ipotizza una macchina che imiti il pensiero di un uomo, bensì una macchina che imiti una donna che imita un uomo;
– Infine l’articolo non risponde affatto alla domanda “possono pensare le macchine?”.
Questo è sorprendente, ma è il genio che sorprende e la genialità di Turing emerge da ogni riga dell’articolo. La parte che tuttavia, in questa rilettura, ho trovato del tutto “nuova” è quella delle argomentazioni contro il cosiddetto “test di Turing”. Ho quasi l’impressione che nelle obiezioni (e nelle risposte di Turing) ci sia tutto ciò che conta davvero per capire la radice del problema IA. Altro che i fiumi di parole superficiali e banali che si sentono oggi, anche da parte di cosiddetti “esperti”.